Terza e ultima puntata della leggenda di Zlatorog (clicca qui per la seconda puntata)
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Nella Locanda sull'Isonzo c'è grande attività, sembra quasi un alveare: si sente tintinnio di bicchieri, suono di mandolini, si balla allegramente. Anche Jerica si aggira aggraziata come una libellula. Intanto ballano bei ragazzi dai capelli corvini, le guance pallide, gli occhi brillanti e le labbra rosse come boccioli di rosa. Vengono da Venezia, dove i palazzi sorgono dalle onde. Hanno lasciato i loro carri davanti alla Locanda: cinquanta e più cavalli per trainare i loro pesanti carichi. Tanti curiosi si fermano ad osservare. Ogni tanto i veneziani riposano, tra un ballo e l'altro. In una di queste pause, uno di loro prende per mano Jerica e la conduce al loro tavolo: le porge una coppa piena di un dolce vino, dal colore dorato; e mentre glielo offre, le sussurra tenere parole nelle orecchie:
- “Bella ragazza dai capelli dorati, prima di sera dovrò ripartire, ma ripenserò spesso a te, Jerica, ragazza del ponte sull'Isonzo, fanciulla dagli occhi blu come lo zaffiro e le labbra rosse, teneramente disegnate come l'arco di Cupido. Dammi, o cara, prima che parta uno dei fiori che ti adornano i capelli, mi sarà portafortuna e lo terrò sempre sul cuore!”
La ragazza porge quindi un fiore allo straniero, sorridendo: è una piccola stella argentata, figlia delle nevi eterne.
Mentre riceve il fiore, il mercante infila subito al dito di Jerica un anello con un rosso rubino:
- “Questo perché tu ti possa ricordare di me, quando vagherò lontano, per il mondo!”
E prima ancora che Jerica se ne possa accorgere, lo straniero le allaccia intorno al collo una catenina d'oro, con una moneta appesa: su una faccia l'effigie di un santo, sull'altra un leone alato.
Ora prende per mano Jerica e la conduce al centro della sala, per un ballo. Ma non hanno ancora iniziato a danzare, quando vengono fermati: un Cacciatore, spavaldo e deciso, si sta avvicinando con aria torva alla coppia e si rivolge a Jerica con tono cupo:
- “Restituisci subito a questo mercante i suoi gioielli! Che nessuno dica che la mia fidanzata accetta regali da uomini forestieri!”
Nella sala, d'improvviso, si è fatto silenzio: tacciono i violini, smettono di suonare i mandolini. Un cerchio di gente si forma attorno alla coppia, alcuni sorridono beffardamente.
Jerica, col viso acceso per la rabbia, risponde con gli occhi scintillanti di sdegno:
- “Cacciatore di Trenta, dimmi: da quando sei diventato il padrone di questa casa? Osi trattarmi come una serva? Credi di poter venire ad insultarmi qui, nella mia sala? Voglio proprio vedere se un estraneo può comandarmi e controllarmi qui, a casa mia!”
Risponde, serio, il Cacciatore:
- “Non risponderò a quello che mi hai detto, ispirata dalla rabbia: ma anche io ho usato parole dure verso di te. Vedendoti con indosso quei gioielli, il sangue mi è salito alla testa, ma ti perdono. Jerica, vita mia! Restituisci il suo oro a quel finto gentiluomo! Ti darò fiori di montagna in cambio! Andrò ancora in cima al Triglav a raccogliere i fiori, rossi e bianchi, con cui abbellirai i tuoi biondi capelli, ma ti prego, Amore mio, restituisci questi gioielli al mercante straniero!”
Così parla il Cacciatore e la ragazza china la testa, perché quelle parole piene di amore le hanno addolcito il cuore. Ma proprio mentre si sta sfilando l'anello dal dito, le giunge all'orecchio una risata acuta, simile a quella di una strega: è Špela che la deride, e subito la sua bocca si torce in una smorfia di rabbia. Spinta dall'orgoglio, senza pensare, risponde acida al suo Cacciatore:
- “Pensi che io possa scambiare un anello e una catenina d'oro con dei fiorellini?! Sarebbe una stupidaggine enorme e una grande scortesia verso chi mi ha fatto questo dono, questo signore italiano che ha bei modi e sa come trattare le donne: impara da lui, che la conosce meglio di chiunque altro, l'arte di piacere alle ragazze. Io sospiro ogni giorno: dici di amarmi in modo indicibile, ma tu, che puoi chiamare “madri” le Rojenice, non mi hai mai portato un solo gioiello; eppure le Bianche Signore sanno dov'è il tesoro della montagna! Sarebbe facile, per te, adornare il tuo Amore con fili di perle, invece che con stelle alpine! Ora devo tornare dagli ospiti. Addio, Cacciatore!”
Mentre la ragazza si gira, il Cacciatore fa per trattenerla, ma lei si divincola e, tutt'intorno, si ode una grande risata... Fremente di vergogna, si appoggia ad un muro e sente una mano ossuta che lo tocca: è la vecchia Barbara che lo accarezza sulla testa, come fosse un bambino.
- “Non te la prendere: lo sai che l'umore delle ragazze è come la neve di marzo: cade, fredda, su rami e prati, ma passata la notte sarà già scomparsa e da quel ramo che oggi vedi congelato, domani coglierai fiori profumati”
Il Cacciatore risponde, borbottando:
- “Fai bene a paragonare le sue cattiverie alla neve di marzo, che infatti fa male ai fiori! Il mio amore per lei era come un germoglio, verde e tenero, ora è congelato dal gelo della notte e il sole, domani, non basterà a scaldarlo”
La vecchia scuote dolcemente la testa bianca e un tenero sorriso le compare sul viso:
- “Un ragazzo come te, che caccia l'orso e il lupo, che ha il sangue freddo per uccidere la lince e rapire la covata all'aquila, non diventerà mica come quei tali che si lamentano in continuazione per le loro pene d'amore, suonando il liuto al chiaro di luna?! La serenata al chiar di luna può andare bene per quei sofisticati e ipocriti mercanti, ma non per un forte e duro cacciatore! Torna tra gli altri ragazzi a testa alta, audace e forte come sempre! Non mostrare il tuo dolore! Vai, mescolati tra gli altri ospiti della Locanda e non guardare Jerica. Ci sono altre belle ragazze: fai ballare Špela e divertiti. Quando la tua ragazza se ne accorgerà, smetterà di ridere, le verranno le lacrime agli occhi e poi, conosco le ragazze, la sua rabbia svanirà e farete pace con un bacio”
Ma il Cacciatore, con sguardo accigliato, risponde:
- “Come posso ridere con la morte nel cuore? Mi ha scoccato una freccia avvelenata e, forse, questa ferita non guarirà mai. Quel che è successo stasera non potrà mai essere cancellato! Lasciami andare, cara Barbara, voglio andarmene prima possibile da questa casa dove tutte le mie speranze, i miei sogni sono andati in frantumi. Ma un giorno tornerò da Jerica! E le porterò oro, non fiori! Sì, voglio trovare il tesoro della montagna e tornare, montando un cavallo bianco. E quando le chiederò una coppa di vino, le mie mani le daranno oro in abbondanza!”
Così parla il Cacciatore ed esce subito, di corsa, dalla Locanda, dirigendosi con impeto verso la montagna.
***
Il vento caldo e asciutto che scende dai monti, porta con se una felice notizia: la primavera sta per arrivare e con lei tornano, dai paesi caldi dove hanno trascorso l'inverno, le rondini, i cigni e le cicogne. Nei prati ancora ingialliti e tra le macchie di neve che stanno fondendo, cominciano a spuntare i gialli anemoni, mentre il delicato croco, figlio dell'inverno, china il capo.
Nelle foreste di faggio le nuove foglie spuntano sui rametti, gli insetti ronzano nella tiepida aria del mezzogiorno, mentre milioni di verdi e tenere gemme stanno per erompere. Una irresistibile voglia di vivere, di correre, di cantare si diffonde ovunque, mentre la primavera risveglia la natura dal lungo sonno invernale e tutto il creato sembra partecipare a questa gioia irresistibile.
Soffia il foehn, la neve scioglie e migliaia di ruscelli scorrono giù per la montagna, mentre le bianche nebbie si dissolvono nella vallata sottostante. Da est si scorge un chiarore avanzare, il nuovo giorno sta per arrivare. Il Cacciatore, dalla umida pietra su cui la sera prima si coricò per riposare, si alza e lascia vagare lo sguardo tutt'intorno: guarda verso le cime, ancora bianche di neve, raccoglie il fucile, le cartucce, il coltello e comincia a salire.
Mentre sale, vede tra la pallida erba primaverile una primula gialla e, ridendo amaramente tra sé e sé, dice, mentre la raccoglie:
- “Piccolo fiore color dell'oro... sei un segno di buon augurio per chi va in cerca di un tesoro!”
Poi vede gli azzurri fiori dell'erica, che da bambino coglieva spesso per curare sua madre, e sente la commozione salire dal cuore agli occhi, in forma di calde lacrime:
- “Madre!” - sussurra con gli occhi umidi e luccicanti come la rugiada del mattino.
E vorrebbe ancora poterla ascoltare, la sua mamma, come tanti anni fa, e lei gli direbbe “Torna a valle! La tua ragazza ti aspetta, si è pentita e il rimorso per quel che ha detto la sta tormentando. Torna a valle, sei ancora in tempo”.
A quei pensieri il Cacciatore esita, mille dubbi gli vengono alla mente... E proprio in quel momento gli giunge, lontana, una voce di donna:
- “Cacciatore di Trenta, fermati: se continuerai a salire, andrai incontro alla tua rovina!”
Il Cacciatore si volta: ora vede, irriconoscibile nella tenue luce dell'aurora, una ragazza che sale ansimando, su per la ripida montagna.
- “Sarà Jerica?!” - si chiede il Cacciatore, e si precipita correndo verso di lei. Ma si ferma subito: non è Jerica, è Špela.
Si rivolge alla ragazza mora, senza guardarla negli occhi:
- “Dimmi Špela, cosa vuoi?”
Senza fiato, per la dura salita fatta di corsa, la ragazza bruna gli risponde, con voce implorante:
- “Torna indietro e dimentica il tesoro della montagna. Torna indietro e lascia in pace il camoscio bianco, Zlatorog dalle corna d'oro! Nel giardino delle Dame Bianche ti attende la morte, lo so! Devi tornare indietro, o morirai! E' tutta la notte che ti inseguo attraverso la foreste e le rocce. Cacciatore di Trenta, ascolta me, la povera Špela: torna indietro! Non voglio che tu muoia!”
Ma il Cacciatore, con lo sguardo basso, chiede con voce debole e incerta:
- “Špela, dimmi la verità: chi ti ha mandato?”
Nella poca luce del mattino, lo sguardo della ragazza luccica:
- “Nessuno mi ha mandato. Pensi che sia stata Jerica a mandarmi da te? No, povero ragazzo. Ho lasciato Jerica tra le braccia di quel mercante che le regalò l'anello e la collana”
Sentendo queste parole, il Cacciatore stringe con rabbia il suo bastone e serra i denti, e non ascolta più le parole di Špela.
- “Torna a valle!” - lo implora la ragazza - “Non voglio che tu muoia! Non vedi che il tuo Amore biondo ti ha tradito, preferendo un ricco bugiardo a te? Vuoi sacrificare la tua vita per una donna che non ti ama e non ti è fedele? Lo vedi, lo sai: io preferirei perdere la vista che perdere te, darei la mia vita per te, mi dannerei l'anima per te! Torna indietro con me, vieni tra le mie braccia. Pensaci bene: cosa hai perso con lei?”
Poi, con un lieve sussulto del petto, abbassa lo sguardo e aggiunge:
- “Ti servirò finché vivrò, sarò la tua serva anche se non mi darai mai un anello. Mi ascolti Cacciatore? Torna indietro!”
Ma lo sguardo del Cacciatore è assente, perso tra le nebbie che gli fluttuano leggere attorno; uno sguardo spento e senza vita. Il suo orecchio è sordo alle parole di Špela. Si scuote all'improvviso, come turbato da un brutto sogno, saluta brevemente con la mano e si volta verso la montagna, per salire.
Un dolore acuto riempie il petto della ragazza respinta: un urlo disperato, seguito da una folle risata, si spande per la montagna, riecheggiato dalle rocce. Un brivido di morte percorre la schiena del Cacciatore, e una sensazione di freddo gli penetra nelle ossa.
Intanto, nel giardino fatato delle Rojenice, giunge il primo raggio di sole del mattino, dissolvendo l'ombra argentata. Lentamente le corolle dei fiori si aprono per ricevere la luce e la farfalla rossa e nera svolazza tra i petali profumati, come ogni giorno. Con passo timoroso, il fucile carico, il volto pallido e l'occhio luccicante, il Cacciatore si insinua tra i cespugli e si acquatta ai bordi del pascolo alpino, in agguato come una lince.
C'è qualcosa che si muove sotto di lui, nei cespugli: improvvisamente, dalle fitte siepi di rododendri, avanzano lentamente i camosci bianchi. Ora lo vede! Davanti a tutti c'è lui, Zlatorog, con le corna d'oro. Come una statua di marmo splendente, si piazza, dritto, sulla roccia più elevata, puntando uno sguardo di rimprovero al suo nemico, il Cacciatore, che lentamente alza il fucile verso di lui prendendo la mira.
Rojenice, buone Bianche Signore, fate sentire le vostre voci ancora una volta! Fate scappare il camoscio e coprite tutto con una fitta nebbia!
Ma, ahimè, dalle rocce tutto è silenzio, nessun avvertimento si sente, e il sole splende luminoso e glorioso. Una sola volta lo avrebbero avvertito, una sola: gli era stato detto...
Improvvisamente lo sparo esplode, Zlatorog è colpito! Il camoscio cade ferito, rotola tra l'erba e il Cacciatore accorre, eccitato, il cuore invaso dalla foga di agguantare la preda.
Ma prima che il Cacciatore si avvicini, il camoscio si rialza, perdendo abbondante sangue dalla ferita. Il Cacciatore ricarica in fretta il suo fucile, ma prima che possa prendere di nuovo la mira, vede tra l'erba che, là dove dovrebbero esserci calde gocce di sangue, spuntano fiori rossi, fiori mai visti, ardenti come la brace. Fissa i fiori, impietrito, e sussurra, con un brivido:
- “Le Rose del Triglav! Mio Dio! Sono le Rose del Triglav!”
Ora si riscuote dalla paura e, pallido in volto, si mette sulle orme del camoscio ferito: è molto facile, perché una scia di Rose del Triglav forma una traccia che lo guida. Il rosso sentiero di fiori lo porta sempre più in alto, tra le rocce, e il Cacciatore lo segue, ansimando per lo sforzo. Ora è giunto su una cengia erbosa, proprio nel mezzo della parete: la roccia bianca alla sua destra, il cielo blu alla sua sinistra, il cupo abisso sotto i suoi piedi. Eccolo, Zlatorog! Grazie ai fiori magici ha ripreso le forze e una luce accecante lampeggia dalle sue corna d'oro. Il Cacciatore è abbagliato dalla luce dorata e non vede più dove poggia i piedi. All'improvviso, si sente precipitare. Non vede più niente, non capisce più niente: intorno a lui cominciano a girare le rocce, le cime innevate.
- “Jerica! Jerica!”
Queste le ultime parole che escono dalla sua bocca, ripetute mille e mille volte dall'eco rimandata dalle rocce, mentre precipita verso l'abisso.
All'improvviso, il silenzio. Ora tutto tace e Zlatorog, con passo lento e maestoso, può scendere dalla parete verso il pascolo, alta la fiera testa e le lunghe corna d'oro. Non deve più temere nulla, il bianco camoscio: nessun pericolo lo può più minacciare.
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Che notte tremenda! Il vento sta ruggendo, là sulle montagne. Ascoltate: gli abeti si stanno schiantando nella foresta. Guai a quegli sfortunati colti dalla tempesta sulle montagne! Pregate per loro, donne! Pregate!
Jerica sta pregando, mentre si torce le mani, il viso terreo. Prega e singhiozza:
- “Perdonami! Perdonami! Ti prego, ti imploro: torna a casa Amore mio!”
***
Sono passati due giorni e due notti, la tempesta si è quietata e il sole è tornato a splendere.
Jerica è in piedi sul ponte dell'Isonzo, circondata da parecchie persone, e fissa le acque spumeggianti del fiume che scorrono sotto di lei.
Tra i vortici gorgoglianti, che pare suonino una melodia funebre, i flutti stanno trasportando il corpo di un uomo, la fronte spaccata. Jerica, riconosci quel morto?
- “Conosci quel morto?!” - così sta gridando Špela, con la voce alterata dalla follia. - “Lui ti amava e per il tuo amore ha respinto me. Ma tu lo hai condotto alla morte. Assassina! Tu sia maledetta!”
Ora si ode solo il silenzio sul ponte, un silenzio irreale, angosciante. Viene rotto ancora dalla voce rassegnata di Špela:
- “Lui è stato tuo da vivo, ma sarà mio nella morte. Addio montagne e valli in fiore, addio sole splendente e cielo blu. Pregate la Santa Vergine per me!”
E così Špela salta giù dall'alto ponte, i capelli e le vesti svolazzanti, e sparisce tra i gorghi schiumosi dell'Isonzo, che la prendono con sé e pare le stiano cantando la marcia nuziale.
Dormi e riposa in pace Špela, sfortunata ragazza bruna.
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Anche l'ultima neve si è sciolta sulle cime delle montagne, gli usignoli cantano di nuovo nel tepore del pomeriggio, il mese della fienagione è passato e il bestiame, irrequieto nelle anguste stalle, ricomincia a bramare di tornare su, agli alpeggi.
Ma quando i pastori tornano agli alti pascoli vengono sconvolti da una visione incredibile e inaspettata: là dove c'erano i verdi prati e le malghe ai piedi del Triglav, non c'è più erba, ma solo distese di arida roccia e sassi. Zlatorog, furioso con gli uomini per l'affronto subito, ha distrutto tutto e con le sue magiche corna ha cancellato ogni traccia dei prati e dei fiori che ricoprivano l'altopiano. Le Rojenice non abitano più lì: si sono trasferite, con il loro bianco gregge, in qualche altro piccolo angolo nascosto tra i monti, luogo disperso in cui nessuno ha ancora mai messo piede.
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Il tesoro del Bogatin non è ancora ad oggi stato trovato. Ma da settecento anni cresce, tra il mare di rocce e le magre erbe dell'altipiano del Triglav, un larice solitario, alto e contorto. Con il legno di quell'albero verrà costruita una culla e in quella culla dormirà un bambino. Quel bambino crescerà e, un giorno, troverà il tesoro nascosto nel cuore del monte.
grazie mille. un anno che cerco zlatorog integro in versione antica... è stato fatto un lavoro degno , non l avrei trovato traducibile integro in tedesco
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