domenica 16 dicembre 2018

Zlatorog: una leggenda alpina (1/3)





Il racconto che riporto in questo post è tratto da varie e antichissime leggende delle Alpi slovene, tramandate per secoli oralmente, di generazione in generazione. A metà del XIX secolo, prima che se ne perdesse memoria, furono per la prima volta raccolte in forma scritta da Karel Dežman e pubblicate in lingua tedesca nel 1868 sul quotidiano Laibacher Zeitung. La fonte da cui ho attinto per questa versione in italiano è il poema in versi Zlatorog: Eine Alpensage composto da Rudolf Baumbach nel 1877.

Prima di tre puntate.

***

Triglav
il monte Triglav
Sono salito ancora una volta sulla tua vetta, possente Triglav, da dove la vista può perdersi nell'infinito.
Dalla tua corona a tre punte, incastonata di nevi eterne, lo sguardo domina centinaia di montagne, vaga sulle scure foreste a perdita d'occhio, si spinge fino alle rigogliose pianure della lontana Italia e alle onde dell'Adriatico blu. Mentre ammiro, col cuore gonfio di emozione, tutto questo, mi torna alla mente un'antica leggenda, tramandata da secoli nella lingua dei miei antenati...

***

Il sole sta sorgendo sulla montagna e, mentre la notte si dilegua, si spengono una ad una le stelle tremolanti in cielo e si diradano le candide nebbie. La brezza del mattino accarezza il vecchio larice contorto; la genziana, ricoperta da una lieve rugiada, spande il suo amaro profumo, mentre il rododendro, vestito di seta rossa, guarda la stella alpina che asciuga il suo velluto d'argento ai primi raggi del sole.

Nei prati tutto si rimette in moto: la farfalla distende le ali tranquilla su una pietra soleggiata, le api, infaticabili, ronzano da fiore a fiore e l'ermellino, rapido, si affretta tra i sassi, in cerca della preda.

Nel recesso più nascosto dei boschi, il tormentato lupo sta vagando senza pace, la maestosa ed elegante lince nasconde le sue insidie e l'orso, forte e pigro, riposa.


Ermellino, Triglav

L'ermellino
Su per la ripida parete rocciosa, sta salendo qualcuno: passa agile da un appiglio all'altro, il piede  sicuro e fermo sulle ripide e franose ghiaie.  Non un sasso cade, non una pietra si stacca: cammina agile e veloce sulle cenge vertiginose, la roccia bianca alla sua destra, il cielo blu alla sua sinistra, il cupo abisso sotto i suoi piedi. Chiunque, vedendolo da lontano arrampicare, pur non potendo scorgere il bel coltello con manico d'osso che porta alla cintura, né il fucile a tracolla e il cappello con piuma di gallo forcello, capisce al volo che è un cacciatore. E' il cacciatore più abile e coraggioso della val Trenta. Non lo ferma la tempesta, non lo impensierisce la neve, non lo spaventa il boato della valanga. Non teme nulla, mentre sale sulla grigia e fredda roccia e il vuoto, sotto di lui, aumenta sempre di più. Ora si ferma a sedere su un masso e beve un sorso dalla fiasca; si pulisce con la manica le gocce di grappa dal mento e continua la scalata della montagna, sempre più in alto, mentre il sentiero si fa sempre più ripido. Sentiero: ma c'è un sentiero in questi luoghi selvaggi e desolati? Si infila in un canalone tra le rocce, che si fa sempre più erto e stretto e diventa quasi un camino. Spinge con il piede alla sua destra, la mano afferra un appiglio, minuscolo e affilato, a sinistra. Tira e si distende, la testa finalmente emerge dal ciglio roccioso. E' in cima.

Zlatorog


Quel che vede ora, è il paradiso: non la distesa di arida roccia che immaginava di trovare, ma dolci pendii di morbida e grassa erba, tempestati di fiori, i più colorati. Mai, il Cacciatore di Trenta, aveva visto un tale magnifico giardino: il Triglav è tutto un fiore. Fiori ovunque, tappeti di fiori lungo le rocce, attorno ai nevai. Genziane di un blu profondo, papaveri retici gialli come l'oro, celesti e minuscoli non-ti-scordar-di-me, rododendri rossi come il fuoco. Tra i prati color smeraldo di erbe soffici e carnose, appare un arcobaleno di colori, sembrano gemme vive; e ovunque un volar di farfalle, che si aggirano ebbre di nettare.


Gli occhi blu del Cacciatore brillano di gioia e con gioia si piega sulle ginocchia: vuole raccogliere un mazzetto di fiori, per adornare il suo cappello. Ma, all'improvviso, cosa vede? C'è qualcosa che si muove, più in basso, tra i cespugli, tra le siepi rosse di rododendri. Pascolano tranquilli e non sospettano che un intruso sia così vicino a loro... Sta sognando? Forse Škrat il folletto gli sta giocando qualche scherzo? E' una visione, o veramente dei camosci stanno pascolando qui, a pochi metri da lui? Bianchi come la neve appena caduta, si pasciono tranquilli. Il più grande e possente, che li guida, ha lunghe e sfavillanti corna d'oro.

Il Cacciatore, incredulo, si accovaccia sull'erba tendendo il collo: il grosso camoscio bianco sta immobile come una statua, su un'alta roccia; guarda verso di lui con aria di sfida, mentre le corna dorate splendono nel sole del mattino. 

Zlatorog
Per due volte il Cacciatore alza lentamente le canne del suo fucile per prendere la mira, ma per due volte abbassa l'arma, vacillando, mentre la vista gli si annebbia e le mani tremano come quelle di un ragazzino alla prima battuta di caccia. Ma quando per la terza volta punta il fucile, finalmente le mani sono salde e l'occhio sicuro.

Sta per premere il grilletto, ma... Ascoltate! Una voce di ragazza, dalle pareti rocciose, si alza acuta come il grido di un falco ferito:

- “Attento Zlatorog! Fuggi camoscio!”

Una densa nebbia grigia avvolge ora il Cacciatore trentano, nascondendogli alla vista la sua preda! Il ragazzo si alza terrorizzato e si aggrappa, tremante, al suo bastone, il cuore in gola. Si toglie il cappello e comincia a pregare, sottovoce.

Passano pochi minuti e, come fosse una nuvola di farina, la nebbia si dissolve. Subito torna a splendere il sole e il mondo, tutto attorno, torna a sorridergli. Tornano le variopinte farfalle a giocare tra i colorati fiori, tornano i prati verdi e splendenti, ma il camoscio bianco non c'è più. Il giovane Cacciatore si guarda attorno, stordito, e biascicando parole incomprensibili rimette a tracolla il fucile, preparandosi a  partire. Ma... Ascoltate! Un'altra voce di donna lo chiama dalle rocce, con tono gentile:

- “Coraggioso Cacciatore della Val Trenta, sei il benvenuto nel nostro giardino. Qui la montagna è ricca di selvaggina: cervi, camosci e galli cedroni sono abbondanti. Puoi cacciarli liberamente, così come puoi raccogliere i nostri profumati fiori. Riposati pure alle nostre sorgenti, ma, coraggioso Cacciatore della val Trenta, ascolta bene: rispetta il nostro bianco gregge, risparmia il nostro camoscio dalle corna d'oro, Zlatorog. Se non lo farai, perderai la tua giovane vita!”

Incredulo ed emozionato per quanto ascoltato, il ragazzo risponde verso le pareti di roccia, con voce forte e sicura:

- “Seguirò i tuoi consigli e i tuoi avvertimenti, rispetterò il tuo bianco gregge. Ma dimmi: chi sei tu, invisibile e potente signora di questo giardino incantato?”

Il Cacciatore tende l'orecchio, come fa il cervo quando si affaccia dal bosco, ma tutto tace. Nessuna eco risponde dalle rocce, null'altro può sentire che il gorgoglio della sorgente che sgorga, argentea, dalle pareti.

Alla fonte il Cacciatore si china, beve dalle mani a conca, raccoglie un mazzetto di bianche stelle alpine, vermigli rododendri e genzianelle blu. Imprime bene nella mente il luogo in cui si trova: si volta e se ne va. In pochi attimi scompare, tra le quinte di roccia.

Tra i cespugli si scorge un bagliore, un luccicare dorato: il bianco camoscio dalle corna d'oro sta guidando di nuovo il suo gregge nella radura. Molto distante, lontano, sente echeggiare uno sparo, ma il camoscio continua a pascolare. Zlatorog è tranquillo: sa che potenze soprannaturali lo proteggono, proteggono il gregge, proteggono il giardino fatato.

***

La notte sta calando sull'alpeggio della Komna. I pastori sono allegri: c'è un ospite. E' appena arrivato un giovane cacciatore della val Trenta, e non è a mani vuote: il grosso camoscio appeso fuori dalla capanna lo ha portato lui. Intanto la zuppa ribolle nel pentolone di rame, avvolto da lingue di fuoco. I pastori, tutti attorno, si leccano i baffi pregustando la saporita cena, mentre gli occhi del Cacciatore brillano d'orgoglio: oltre al camoscio, può vantare infatti un'altra preda, e assai prestigiosa. Una preda che unisce alla ferocia del lupo, la furbizia della volpe e l'agilità del gatto. Era appostata tra i rami, pronta a saltare, mimetizzata tra le foglie, ma un lampo dei suoi occhi l'ha tradita: la palla di piombo l'ha centrata proprio in fronte, trapassandogli il cervello. Così è caduta a terra, senza vita, la lince.

Lince della Slovenia

- “Un colpo da maestro! Mi congratulo con te! Ho conosciuto una sola persona capace di un tiro del genere, trent'anni fa: ero io. Ma ora sono vecchio e la selvaggina mi irride. Il timido camoscio si prende gioco di me e anche la volpe mi passa davanti lentamente, senza timore. Ormai posso cacciare solo piccoli e grassi ghiri!”

Così parla un uomo dai capelli grigi, mentre attizza il fuoco e getta bacche di ginepro nel pentolone.
Di solito è Špela che si occupa di cucinare, ma stasera la ragazza preferisce star seduta sulla panca, ad ascoltare i discorsi degli uomini e il vecchio Jaka, il pastore, oggi prende il suo posto al focolare: glielo ha chiesto come favore, perché nessuno meglio di lui, così crede Jaka, sa cucinare il gulasch! Il vecchio, di quando in quando, pesca un pezzo di carne dal paiolo, lo assaggia leccandosi i baffi e mormora qualcosa, soddisfatto. E ogni tanto, dalla tasca della sua giacca, estrae una fiaschetta e, sorridendo, assapora il distillato di prugne. La bottiglietta  passa di bocca in bocca tra i pastori, e tutti apprezzano e ringraziano.

- “Ascoltami” - ricomincia Jaka - “Ascolta bene, giovane Cacciatore di Trenta, cosa ti consiglio: domani io, Špela e altri sette, prima dell'alba, partiremo per scendere a valle. Come sai, domani è domenica e Špela non vuole mancare al ballo. Verranno ragazzi da tutti i villaggi, dalle frazioni e dagli alpeggi più sperduti. Ci ritroveremo, tutti assieme, nella casa della nostra padrona, la signora Katra. Avrai sentito parlare della Locanda sull'Isonzo, vicino al ponte. Katra è la padrona e possiede anche una grande stalla con più di cento vacche. Ci ha invitato tutti, domani sera, per far festa e ballare nella sua ricca casa. Vieni anche tu, ti accoglierà volentieri, vedrai! Soprattutto se le porterai questo grosso camoscio... e quando poi vedrà la bella pelliccia maculata della lince... Credimi Cacciatore, saprà ricompensarti! Vieni, non te ne pentirai!” 

Il Cacciatore annuisce:

- “Verrò con voi: conosco la Locanda in riva all'Isonzo: la vecchia Barbara, la mia madrina, ci lavorava come governante. Non la vedo da tanto tempo, perché sono stato molti anni a lavorare presso un ricco signore, in Carinzia, ma dimmi: è ancora viva?”

Il vecchio Jaka sorridendo risponde:

- “Barbara è viva e sta benissimo, lo vedrai domani con i tuoi occhi. Quindi è deciso: verrai con noi.”

e ammiccando aggiunge:

- “E poi non ci sono solo vecchie signore, alla locanda... La figlia della padrona, la bionda Jerica, è appena tornata dal collegio ed aiuta la madre nei lavori. Vedrai: è una ragazza dolcissima e” - ma qui cambia tono, vedendo gli occhi scuri di Špela scintillare di gelosia e le sue rosse labbra incresparsi in un broncio - “e se non fosse tanto pallida e i suoi capelli così scialbi, sarebbe la più bella di tutte le ragazze, ma è solo la seconda!” - ammiccando alla bruna Špela, che, a quelle parole, timida abbassa lo sguardo.

- “Ma Špela” - continua il vecchio - “di solito non taci mai, invece questa sera sei così silenziosa... Fai ascoltare al nostro ospite una delle tue canzoni!”

Dal sangue di Zlatorog sboccia la Rosa del Triglav
Rosa del Triglav (Potentilla nitida)
Inizialmente la ragazza mora si ritrae, vergognosa, ma poi scuote le morbide trecce e inizia a cantare:

“La bella Anka sta 
in riva al fiume
il giovane Janez scende 
dalle rocce
sulle spalle porta 
un camoscio
e la saluta,
agitando il cappello.
La bella Anka scuote la mano 
e ride:
“Fammi vedere: 
cosa mi hai portato?
Genzianelle e ranuncoli
rododendri e stelle alpine
ma neanche una Rosa del Triglav?”

Il giovane Janez 
scuote la testa:
“Guai a chi raccoglie 
la Rosa del Triglav!
Dal sangue di Zlatorog 
il re dei camosci
sboccia la rossa Rosa del Triglav!
Se un cacciatore vede 
da lontano
il bianco camoscio 
dalle corna d'oro
fa marcia indietro perché 
a nessuno è permesso violare
il giardino delle Dame Bianche
che Zlatorog protegge.
E chi ferisce 
il bianco camoscio,
con la vita pagherà, 
per la sua avidità.

Bella Anka, 
luce dei miei occhi, 
chiedimi tutto, 
ma non la Rosa del Triglav!”

Ma la bella Anka 

storce la bocca:
“Al diavolo il tuo Zlatorog 
e le Dame Bianche!
Va' e spara: 
voglio la Rosa del Triglav!
E se il Fiore
non mi porterai 
non ti voglio più vedere.
Addio Janez, 
addio!”

La bella Anka 
se ne va ridendo, 
mentre il giovane Janez 
torna sulla montagna.

La bella Anka 
sta in riva al fiume
e piange rivolta 
alla parete di roccia:
tornerà oggi 
il giovane Janez?
Tre giorni e tre notti,
sono già passate 
da quando è salito 
di nuovo sulla montagna.

Bella Anka, 
non aspettare più, 
il giovane Janez più non tornerà.
Il giovane Janez è rimasto 
sulle fredde rocce della montagna.
Il giovane Janez stringe 
tra le mani irrigidite 
una Rosa del Triglav.

Tanti anni sono passati, 
la bella Anka sta 
ancora in riva al fiume
e quando un giovane cacciatore 
passa di là, 
sorride e implora:
“Portami una Rosa del Triglav!”


Špela la bruna ha terminato la sua canzone e tutti la applaudono. Il Cacciatore di Trenta si leva il cappello e ne toglie i fiori che aveva raccolto al mattino, nel giardino delle Dame Bianche. Porge il mazzetto alla bella ragazza.

- “Grazie!” - esclama Špela arrossendo.

- “Grazie a te per la bella canzone! Ma vorrei un altro favore” - dice il ragazzo - “raccontami cosa sai del giardino delle Dame Bianche, di Zlatorog e delle Rose del Triglav”.



La bella Špela sorride felice, infila i fiori in un'asola del vestito, sul petto, e sta per iniziare a raccontare, quando il vecchio Jaka, entusiasta, interviene:

- “Nessuno conosce meglio di me la storia di Zlatorog e delle Dame Bianche! Molti hanno sentito parlare delle Bianche Signore, le buone Rojenice, fate generose che abitano sulle montagne. Questi spiriti benigni spesso salvano i viandanti, persi nella tormenta, guidandoli nella neve fino al rifugio, assistono le donne durante il parto e donano in tanti modi aiuti e consigli alla povera gente! Ma sono rarissimi quelli che possono dire di averle viste in volto e, soprattutto, nessuno ha mai messo piede nel loro giardino. In questo luogo lussureggiante di piante, c'è un branco di camosci, bianchi come la neve, e li guida Zlatorog, dalle corna d'oro. Fa la guardia, Zlatorog, e quando un uomo si avvicina troppo fa rotolare giù dalla montagna pietre e sassi, mentre le sue corna dorate lampeggiano come fulmini! Così l'intruso, terrorizzato, si allontana in tutta fretta e non osa più avvicinarsi al giardino fatato. Se Zlatorog viene ferito da un colpo di fucile, là dove gocce del suo sangue bagnano la terra, spunta la pianta magica, la Rosa del Triglav: Zlatorog mangia il fiore e immediatamente guarisce. Per questo nessun cacciatore potrà mai prevalere sul forte e astuto Zlatorog. In realtà molti hanno tentato, in passato, perché con le corna del camoscio si può aprire la porta della caverna del monte Bogatin, dove è nascosto un immenso tesoro, protetto da un drago a sette teste! Nella grotta stanno grandissime ricchezze: non basterebbero sette carri per trasportarle! Questa è la storia del camoscio Zlatorog e della Rosa del Triglav”.

Rojenice, Zlatorog
Rojenice, le Dame Bianche
Il vecchio Jaka ha terminato il suo racconto. Il Cacciatore, seduto vicino al focolare, resta in silenzio a pensare. La ragazza e i pastori continuano a parlare a lungo del tesoro, nascosto nelle viscere della montagna, protetto dal drago a sette teste. Discutono anche del folletto Škrat, vestito di verde e col cappello rosso, che può donare oro in abbondanza agli umani. Chiacchierano e fantasticano davanti al fuoco di queste e altre storie mirabolanti.

Ma il vecchio Jaka, sentendoli, scuote la testa grigia e interviene, sorridendo:

- “Amici, non pensate agli ori e ai gioielli, continuate a mungere le vacche e a preparare i formaggi. Le ricchezze non sono per noi contadini: per noi il destino riserva solo guai e maledizioni! Il contadino è nato per soffrire: volete sapere perché? Ve lo racconto: Quando nostro Signore creò il mondo, mandò un angelo ad annunciare che avrebbe donato a ciascun uomo ciò che gli avesse domandato: quindi tutti gli uomini si recarono da Lui, a chiedere questo dono. Per primo, al cospetto di Dio, venne il Padrone, che disse: “Mio Signore, garantiscimi benessere e ricchezza”. E Dio glielo concesse.
Poi venne l'Eremita e anche lui chiese benessere e ricchezza. Ma il Signore rispose: “Troppo tardi, l'ho già donata al Padrone”. “Allora”, disse l'Eremita, “donami la pazienza”. E Dio gliela concesse. 
Per ultimo venne il Contadino: “Mio Signore, donami benessere e ricchezza”. “Non è possibile, l'ho già donata al Padrone”, fu la risposta di Dio. Il Contadino ci pensò su, grattandosi dietro l'orecchio, e disse: “Allora donami la pazienza!”. Ma il Signore rispose: “Troppo tardi, l'ho data all'Eremita”. Il contadino, colto dalla disperazione, gridò: “Maledizione!”. Il Signore rispose: “Bene: la avrai!”. 
Da allora in poi e per sempre, il Padrone avrà quindi benessere e ricchezze, l'Eremita la pazienza e il povero Contadino solo guai e maledizioni finché campa!”

Tutti risero di cuore alla storiella e, siccome il fuoco era ormai spento, ciascuno si ritirò nel suo giaciglio a riposare. Quella notte i pastori sognarono ori, ricchezze, bianchi camosci e Rose del Triglav. La bruna Špela, invece, sognò un giovane Cacciatore della Val Trenta...

Fine prima puntata (clicca qui per la seconda)

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