mercoledì 1 novembre 2017

Cima Ombrettòla e anello del massiccio d'Ombretta



Un'escursione tanto lunga quanto affascinante, tra montagne insieme aspre e dolci...


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(Alba di Canazei, 24 agosto 2017) - E' la seconda volta, quest'anno, che risalgo la val Contrin. Questa verde valle, che arriva ai piedi della vetta più alta delle Dolomiti, è sempre affascinante, ma lo è ancora di più al mattino presto, quando il sole illumina solo le cime che la raccolgono e il fondovalle non è ancora invaso dalle masse di turisti. Mi godo quindi il silenzio e l'aria fredda, che pizzica un po' la pelle delle braccia, mentre salgo di buon passo tra gli scuri boschi d'abeti e poi nei verdi pascoli percorsi dal torrente. Intanto i primi raggi di sole riescono a filtrare nella cortina di alte montagne intorno, colorano il paesaggio e invogliano a salire.

Prime luci in val Contrin

Punta Penia, in fondo alla val Rosalia

Grande e Piccolo Vernel
Passo davanti al rifugio Contrin (2016 m) e poi alla malga. Proseguo in direzione del passo Ombrettòla, alta e nuda sella tra le rocce, che separa il Trentino dal Bellunese. I verdi pascoli d'alta quota sfilano dunque sotto i miei passi, e mi ritrovo sulle fini e bianche ghiaie calcaree, residui di roccia sgretolata dagli eventi atmosferici in migliaia e migliaia di secoli.

La val Contrin: sulla sinistra il Collac, in fondo il gruppo del Sassolungo 
Le rocce del Sasso Vernale



Salendo al passo Ombrettòla

Ambiente di alta quota
Sono ora in un ambiente spoglio, dove l'elemento minerale predomina. Il suono del silenzio sovrasta tutto, rotto solo dal fruscio dei miei passi, dal verso stridulo di qualche uccello e dalla voce del vento. Come tutti i deserti, anche questo piccolo deserto d'alta quota spinge a meditare sulla grandezza della natura e sui suoi misteri. Intorno  a me alte rocce e vallette coperte da ghiaia: senza segnali e una mappa, sarebbe difficile orientarsi. Il sentiero si dirige verso una conca sotto il Sasso Vernale, enorme piramide rocciosa che supera i 3000 metri d'altezza, e ne costeggia le verticali pareti lungo ripidi pendii. Il sentiero è poco marcato, spesso si biforca: tante tracce vanno in numerose direzioni, spesso ricongiungendosi più avanti. Seguendo una mappa non aggiornata, mi ritrovo con il sentierino che, divenendo sempre più esile e meno marcato, ad un tratto svanisce.

La conca sotto il Sasso Vernale


La ferrata Ombretta-Vernale
Mi ostino, contro ogni evidenza e senza tracce sul terreno, a continuare sulla rotta segnata nella carta: il passo Ombrettòla, infatti, sembra essere a cento o duecento metri al massimo. Ma il pendio è ripido e ricoperto da sassi e sassolini completamente slegati tra di loro: ogni passo che tento, aiutato dalle mani, si risolve in un modesto avanzare e in un poderoso franare di detriti lungo lo scosceso versante. Il silenzio è quindi rotto dal fragore dei sassi che rotolano verso valle: un forte fruscio, simile a quello dell'acqua ma più duro, cui si aggiungono i suoni secchi delle pietre più grandi, che rimbalzano e saltano lungo il pendio. Vedendo i sassi rotolare e scendere sempre più velocemente verso valle, immagino me stesso seguire le stesse traiettorie, rotolando e sbattendo nel silenzio più assoluto, lontano dalla vista di alcun essere umano. E' un'idea che non mi piace molto: decido di tornare sui miei passi e con prudenza, aggrappandomi in qualche tratto con le mani al pendio, affondando le dita nella ghiaia fina e polverosa, ritorno là dove il sentierino sparisce. Probabilmente il tracciato non c'è più, forse recentemente cancellato da un temporale più violento del solito: con questo pensiero mi dirigo, un po' mesto, verso valle, deciso a interrompere l'escursione. Ma ricordo, ad un tratto, che poco più in basso, una traccia si dirigeva verso est, aggirando un costone. Mi avventuro lungo il sentiero e... mi accorgo che è quello giusto! Gioia e soddisfazione nel mio cuore: non devo tornare indietro, posso proseguire. In quel momento è come se la montagna mi concedesse di avvicinarla, e mi accogliesse dopo avermi respinto. Pochi minuti e arrivo finalmente al passo Ombrettòla (2864 m), con un grandioso panorama che si apre intorno a me. 

Vista del Col Ombert

Il franoso pendio su cui mi ritrovo per errore

L'ambiente severo e scosceso dell'Ombrettola

Verso il passo d'Ombrettola
Un secolo fa qui era un brulicare di soldati: postazioni, baracche, mulattiere e trincee erano state costruite per ospitare centinaia di alpini, fanti e bersaglieri che dovevano presidiare questi estremi avamposti. In particolare la 206a compagnia Alpini del battaglione Val Cordevole dovette dar prova di sacrifici estremi per resistere alle dure condizioni ambientali. Sforzi e privazioni oggi inimmaginabili, vanificati dalla disfatta di Caporetto, che costrinse al ritiro le truppe italiane da tutto il fronte alpino nell'ottobre del 1917. Dopo un secolo, rimangono numerosi segni di questa enorme attività, che sconvolse questi luoghi per quasi tre anni, dal giugno del 1915 all'ottobre del 1917: centinaia di pali in legno giacciono abbandonati lungo i ghiaioni delle cime d'Ombrettòla, caverne/rifugio sono scavate un po' dappertutto intorno al passo e sono evidenti i terrapieni costruiti per ospitare gli alloggi dei soldati. Oggi è incredibile pensare che una cosa del genere sia stata possibile e che questa pace, questo dolce silenzio fosse riempito dal tuonare dei cannoni e dal ta-pum dei fucili dei soldati schierati l'uno contro l'altro. I pensieri e le emozioni di tutti quegli uomini, provenienti da mezza europa, possono essere facilmente avvertiti anche ora: nel silenzio di queste vette solitarie, basta un metro di filo spinato arrugginito, la scheggia di una granata esplosa cento anni fa o la latta di un barattolo, per ricondurci facilmente al sentire di chi ci ha preceduto, forse meglio che leggendo un libro o guardando un documentario.

La cresta sud del Sasso Vernale

Passo delle Cirelle e Cima Uomo

Un riparo della prima guerra mondiale a Passo Ombrettola

Vallone di Ombrettola

Targa ricordo del comandante della 206a compagnia Alpini
Arrivato al passo, sulla mia destra si aprono i pendii ghiaiosi delle cime d'Ombrettòla (2931 m): mi incammino per il breve e non troppo ripido sentierino che risale il chiaro versante, reso abbacinante dal sole ormai alto. Arrivo presto sulla vetta: vista meravigliosa e vasta attorno a me. Alcune centinaia di metri più in là, lungo la dorsale rocciosa, un piccolo gruppo di stambecchi, femmine e giovani, riposa brucando le misere erbette che crescono a queste quote così elevate. Mi avvicino con circospezione per scattare alcune foto.

Cima Ombrettòla

Dalla cima Ombrettòla, vista del vallon d'Ombrettòla

Marmolada



Da cima Ombrettòla, vista su Fuciade

Sasso di Valfredda

Stambecchi

Stambecco

Stambecco
 Mi avvicino agli stambecchi fino al limite massimo, ovvero la distanza che tollerano senza scappare, monto il teleobiettivo sulla fotocamera e scatto un po' di foto: sono tutte femmine ed esemplari giovani, non ci sono vecchi e forti maschi con le grandi corna, ma sono sempre un bello spettacolo di natura selvaggia.

Finito il servizio fotografico, riscendo verso il passo per un diverso sentierino, uno dei tanti lasciati in eredità dalla guerra. Visito brevemente le postazioni militari, ma non mi soffermo troppo: imbocco la traccia esile ed incerta, ma segnata da ometti e qualche bollo di vernice, che cala ripidissima nel selvaggio vallone d'Ombrettòla. L'ambiente è grandioso, di una bellezza rude ed impressionante: intorno a me si ergono alte montagne, pareti di nuda roccia e ripidi ghiaioni, torri formidabili e vertiginose. L'ambiente in cui mi trovo immerso trasmette tutta la potenza della natura, la sua fredda indifferenza alla fragilità umana, l'immutabilità che sfida i millenni: qualche brivido di emozione mi percorre la schiena. Incrocio solo un altro escursionista che sale: è il primo da quando ho oltrepassato il rifugio Contrin, più di tre ore fa. Scendendo, come sempre, l'ambiente gradualmente si trasforma e, dalla nuda roccia, dal freddo mondo minerale di sassi, neve e pietra, cominciano a manifestarsi le prime timide erbe, arbusti e cespugli, folte macchie di ontano grigio, qualche larice pioniere. Il percorso si fa tortuoso, cercando il passaggio più facile nella tormentata orografia del fondo del vallone. Costeggiando delle rocce a strapiombo, attraversando un esile e vivace ruscelletto, arrivo finalmente al rifugio Onorato Falier (2070 m). Questo rifugio venne fondato nel 1911 dalla sezione di Venezia del Club Alpino Italiano, con il nome di rifugio Ombretta. Tra il 1915 e il 1917 divenne sede del comando della regione militare Ombretta-Ombrettòla: per questo, nell'aprile del 1917 fu distrutto dai cannoni austriaci, che sparavano dalla cresta della Marmolada. Venne ricostruito dopo la guerra, finanziato dalla famiglia Falier, cui ora è intitolato. Per questo rifugio, che si trova ai piedi della formidabile parete sud della Marmolada, una delle pareti più belle e difficili delle Dolomiti, sono passati i più grandi nomi dell'alpinismo su roccia e ancora oggi i più forti arrampicatori giungono da ogni parte del mondo per sfidarsi sull'enorme parete d'argento, che si alza poderosa proprio qui di fronte.

Faccio volentieri una pausa: entro per prendere una coca cola. E' un rifugio ancora autentico, frequentato ma non affollato, orientato ad alpinisti ed escursionisti, non alla massa dei turisti cui della montagna importa poco e niente. Si respira un'aria da rifugio di una volta, giustamente spartana, ma con un'accoglienza semplice e cortese. Alle pareti foto di vette e scalatori; menù limitato e classico. Si vedono addirittura degli alpinisti giunti per pernottare! Esco soddisfatto e mi rimetto a camminare, che il percorso è ancora lungo: devo scavalcare un altro alto passo, per tornare in val di Fassa.

Sasso Vernale

Gruppo del Sassolungo dalla cima d'Ombrettòla

Passo d'Ombrettòla: si vedono le caverne scavate come riparo durante la I guerra mondiale e, al centro della foto, il terrazzamento dove erano le baracche dei soldati

Vallone d'Ombrettòla, Sasso di Valfredda

Vallone d'Ombrettòla, punta del Formenton

Vallone d'Ombrettòla

Vallone d'Ombrettòla

Marmolada, parete sud

Rifugio Falier

Rifugio Ombretta (oggi Falier) nel 1916 (fonte: Europeana)


 Il sole è al suo culmine e picchia forte: devo salire un lungo e ripido pendio, cerco quindi di prendere un ritmo lento e regolare. Le tante ore di cammino per montagne incominciano a farsi sentire. Salgo dunque rilassato, con respiro controllato, tra massi, cespugli di pino mugo e verdi larici. Fortunatamente una leggera brezza e delle nuvole che ogni tanto coprono il sole mi permettono di avanzare senza soffrire troppo il caldo. Mi trovo nel vallone d'Ombretta, diretto verso l'omonimo passo. Sulla mia destra, si erge in tutto il suo splendore la parete sud della Marmolada: uno spettacolo impressionante per bellezza e imponenza. Si tratta infatti di un enorme blocco, lungo oltre tre chilometri, di roccia chiara, argentea e giallastra, che sale compatta, liscia e verticale per quasi mille metri, terminando con una moltitudine di torri, che da qui sembrano tante canne d'organo che si stagliano nel blu del cielo. Anche qui, tante testimonianze della guerra...

Inizio della salita per il vallone d'Ombretta

Marmolada, parete sud

Marmolada, parete sud

Passo Ombretta

Salendo al passo Ombretta, vista verso valle
Dopo un primo tratto ripido, ne segue uno meno inclinato: il passo sembra lì, a pochi metri. Serve però ancora un bel po' di cammino, su un terreno scuro e molto ripido. E' il momento forse più faticoso della gita, ma lo affronto con calma e serenità, superandolo senza patemi. Arrivo al passo (2702 m), dove mi si spalanca alla vista il panorama dell'altro versante.

Ultimo tratto per passo Ombretta

Parete nord-ovest della Civetta

Il "Fungo" di cima Ombretta

Marmolada

Salendo al passo Ombretta, Marmolada parete sud

Salendo a passo Ombretta, sguardo alle spalle

Passo Ombretta: una croce fatta con i resti della Prima Guerra Mondiale
Sono soddisfatto: la parte più dura della gita è passata e ora mi attende solo una lunga discesa verso Alba di Canazei. Il primo tratto di discesa dal passo, però, è piuttosto impervio. Poi, pur essendoci passato solo due anni fa, perdo la traccia di sentiero migliore, ritrovandomi su dei pendii scoscesi e franosi, che mi impegnano un po'. Poco più a valle raggiungo nuovamente il sentierino "ufficiale".
Anche questo versante, detto val Rosalia, è molto suggestivo e intatto: il panorama è fenomenale sulle montagne distanti, suggestivo e grandioso sulle montagne che mi sovrastano da vicino.

Il primo tratto di discesa dal passo Ombretta

Il rifugio Contrin e il Col Ombert

Piccolo Vernel

Scendendo per la val Rosalia
Scendo, scendo e scendo. Ad un certo punto il vallone che sto percorrendo comincia ad allargarsi e a farsi meno ripido. L'erba diviene rigogliosa e soppianta le ghiaie: intorno a me scorgo qualche marmotta che corre tra una tana e l'altra, nascondendosi alla mia vista. La montagna mostra il suo volto più ospitale, caldo e generoso. Alle mie spalle però, come giganti di roccia, stanno severi e potenti cima Ombretta, i Vernel e punta Penia. Attraverso un ruscello e, passando tra le placide vacche al pascolo, giungo al rifugio Contrin, da dove sono passato questa mattina, più di sei ore fa.

Cima Ombretta


Vernel, punta Penia, cima Ombretta
Sono di nuovo al rifugio Contrin, l'avventura è praticamente conclusa. Rispetto a stamattina, avverto un altro stato d'animo: appagamento e soddisfazione, mentre qualche ora fa c'erano un pizzico di emozione ed ansia per quel po' di ignoto che avrei affrontato. Anche questi momenti sono il bello dell'escursionismo.

C'è poco da dire sul percorso che manca: lo conosco da oltre trent'anni, è piuttosto frequentato, semplice ma molto, molto bello. Me lo godo in parte, in parte cerco di affrettarmi per non mancare l'autobus delle 16.30 che mi deve riportare a Pera: lo perderò per pochi minuti, vedendolo sfilare tra qualche imprecazione. Ma non importa: mezz'ora di attesa non sono niente confronto alla bellezza e alle emozioni che ho provato in questa lunga giornata tra i monti.

La strada della val Contrin

In attesa dell'autobus!!!


Commento finale

Fantastica gita, fisicamente impegnativa, senza vere difficoltà (non c'è un solo metro di arrampicata) ma di enorme soddisfazione. Qui si può ancora assaporare la montagna vera, autentica, silenziosa e selvaggia. Si attraversano ambienti vari e solitari, dai boschi di fondovalle alle nude cime di quasi tremila metri, con panorami sempre diversi e suggestivi. Grande interesse storico per le numerose testimonianze della Prima Guerra Mondiale: si passa infatti per due passi (Ombretta e Ombrettòla) che erano capisaldi fondamentali della linea di fronte italiana e due rifugi, Contrin e Falier, sedi dei comandi austriaco e italiano. Per i meno allenati è consigliabile spezzare la gita in due giorni, con pernottamento al rif. Falier o al rif. Contrin.








Dati dell'Escursione



Data: 24 agosto 2017
Partenza: Alba di Canazei, 1510 metri
Arrivo: Alba di Canazei, 1510 metri
Punto più alto: Cima Ombrettòla, 2931 metri
Dislivello totale: 2100 metri circa
Tempo impiegato8 h 30 min circa (incluse soste) - 1 h 10 min da Alba 1510 m al rif. Contrin 2016 m; 2 h 30 min dal rif. Contrin al passo Ombrettòla 2864 m; 15 min dal passo alla cima Ombrettòla 2931 m;  1 h 30 da cima Ombrettòla a rif. Falier 2070 m; 1 h 15 min dal rif. Falier al passo Ombretta 2702 m; 1 h 45 min dal passo Ombretta ad Alba di Canazei. 
Sviluppo del percorsocirca 25 Km
DifficoltàEE: poche difficoltà, se non alcuni tratti di sentiero ripido e un po' franoso. Pur tutto segnato, in alcune parti l'itinerario richiede un po' di attenzione, in quanto bolli di vernice ed ometti non sono sempre ben visibili., specie in cattive condizioni atmosferiche.
Attrezzatura: Scarpe da montagna e normale attrezzatura per una lunga escursione.

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